Per chi non lo sapesse, il giorno 11 novembre la Città di Piove di Sacco celebra il proprio Santo Patrono: San Martino. Questo periodo è caratterizzato da feste ed eventi, oltre che dalla tradizionale Fiera Franca
San Martino: Chi era
Martino nacque in un avamposto dell’Impero Romano alle frontiere con la Pannonia, l’odierna pianura ungherese. Il padre, tribuno della legione, gli diede il nome di Martino in onore di Marte, il dio della guerra. Ancora bambino, Martino si trasferì coi genitori a Pavia, dove suo padre era stato destinato, ed in quella città trascorse l’infanzia. A quindici anni, in quanto figlio di un militare, dovette entrare nell’esercito. Come figlio di veterano fu subito promosso al grado di circitor e venne inviato in Gallia, presso la città di Amiens.
Il Taglio del mantello
Il compito del “circitor” era la ronda di notte e l’ispezione dei posti di guardia, nonché la sorveglianza notturna delle guarnigioni. Durante una di queste ronde avvenne l’episodio che gli cambiò la vita (e che ancora oggi è quello più ricordato e più usato dall’iconografia). Martino incontrò un mendicante seminudo. Vedendolo sofferente, tagliò in due il suo mantello militare e lo condivise con il mendicante. La notte seguente vide in sogno Gesù rivestito della metà del suo mantello militare. Udì Gesù dire ai suoi angeli: «Ecco qui Martino, il soldato romano che non è battezzato, egli mi ha vestito». Quando Martino si risvegliò il suo mantello era integro. Il mantello miracoloso venne conservato come reliquia ed entrò a far parte della collezione di reliquie dei re Merovingi dei Franchi. Il termine latino per “mantello corto”, cappella, venne esteso alle persone incaricate di conservare il mantello di san Martino, i cappellani, e da questi venne applicato all’oratorio reale, che non era una chiesa, chiamato cappella.
La Conversione
Il sogno ebbe un tale impatto su Martino, che egli, già catecumeno, venne battezzato la Pasqua seguente e divenne cristiano. Martino rimase ufficiale dell’esercito per una ventina d’anni raggiungendo il grado di ufficiale nelle alae scolares (un corpo scelto). Giunto all’età di circa quarant’anni, decise di lasciare l’esercito. Iniziò la seconda parte della sua vita.
Martino si impegnò nella lotta contro l’eresia ariana, condannata al Concilio di Nicea (325), e venne per questo anche frustato (nella nativa Pannonia) e cacciato, prima dalla Francia e poi da Milano, dove erano stati eletti vescovi ariani.[3] Nel 357 si recò quindi nell’Isola Gallinara ad Albenga in provincia di Savona, dove condusse quattro anni di vita eremitica. Tornato quindi a Poitiers, al rientro del vescovo cattolico, divenne monaco e venne presto seguito da nuovi compagni, fondando uno dei primi monasteri d’occidente, a Ligugé, sotto la protezione del vescovo Ilario.[4]
Martino Vescovo di Tours
Nel 371 i cittadini di Tours lo vollero loro vescovo, anche se alcuni chierici avanzarono resistenze per il suo aspetto trasandato e le origini plebee. Come vescovo, Martino continuò ad abitare nella sua semplice casa di monaco e proseguì la sua missione di propagatore della fede, creando nel territorio nuove piccole comunità di monaci. Avviò un’energica lotta contro l’eresia ariana e il paganesimo rurale. Inoltre predicò, battezzò villaggi, abbatté templi, alberi sacri e idoli pagani, dimostrando comunque compassione e misericordia verso chiunque.[4] La sua fama ebbe ampia diffusione nella comunità cristiana dove, oltre ad avere fama di taumaturgo, veniva visto come un uomo dotato di carità, giustizia e sobrietà.
Martino aveva della sua missione di “pastore” un concetto assai diverso da molti vescovi del tempo, uomini spesso di abitudini cittadine e quindi poco conoscitori della campagna e dei suoi abitanti. Uomo di preghiera e di azione, Martino percorreva personalmente i distretti abitati dai servi agricoltori, dedicando particolare attenzione all’evangelizzazione delle campagne. Nel 375 fondò a Tours un monastero, a poca distanza dalle mura, che divenne, per qualche tempo, la sua residenza. Il monastero, chiamato in latino Maius monasterium (monastero grande), divenne in seguito noto come Marmoutier. Nelle comunità monastiche fondate da Martino non c’era comunque ancora l’attenzione liturgica che si riscontrerà successivamente nell’esperienza benedettina grazie all’apostolato di San Mauro: la vita era piuttosto incentrata nella condivisione, nella preghiera e, soprattutto, nell’impegno di evangelizzazione.[4]
Martino morì l’8 novembre 397 a Candes-Saint-Martin, dove si era recato per mettere pace tra il clero locale.
La sua morte, avvenuta in fama di santità anche grazie a numerosi miracoli, segnò l’inizio di un culto nel quale la generosità del cavaliere, la rinunzia ascetica e l’attività missionaria erano associate.[5].
Curiosità
L’11 novembre i bambini delle Fiandre e delle aree cattoliche della Germania e dell’Austria, nonché dell’Alto Adige, partecipano a una processione di lanterne, ricordando la fiaccolata in barca che accompagnò il corpo del santo a Tours. Spesso un uomo vestito come Martino cavalca in testa alla processione. I bambini cantano canzoni sul santo e sulle loro lanterne. Il cibo tradizionale di questo giorno è l’oca. Secondo la leggenda, Martino era riluttante a diventare vescovo, motivo per cui si nascose in una stalla piena di oche; il rumore fatto da queste rivelò però il suo nascondiglio alla gente che lo stava cercando. In anni recenti la processione delle lanterne si è diffusa anche nelle aree protestanti della Germania, nonostante il fatto che la Chiesa protestante non riconosca il culto dei santi.
In Italia il culto del Santo è legato alla cosiddetta estate di san Martino la quale si manifesta, in senso meteorologico, all’inizio di novembre e dà luogo ad alcune tradizionali feste popolari. Nel comune abruzzese di Scanno, ad esempio, in onore di San Martino si accendono grandi fuochi detti “glorie di San Martino” e le contrade si sfidano a chi fa il fuoco più alto e durevole.
Nel veneziano l’11 novembre è usanza preparare il dolce di San Martino, un biscotto dolce di pasta frolla con la forma del Santo con la spada a cavallo, decorato con glassa di albume e zucchero ricoperta di confetti e caramelle; è usanza inoltre che i bambini della città lagunare intonino un canto d’augurio casa per casa e negozio per negozio, suonando padelle e strumenti di fortuna, in cambio di qualche monetina o qualche dolcetto.
In molte regioni d’Italia l’11 novembre è simbolicamente associato alla maturazione del vino nuovo (da qui il proverbio “A San Martino ogni mosto diventa vino”) ed è un’occasione di ritrovo e festeggiamenti nei quali si brinda, appunto, stappando il vino appena maturato e accompagnato da castagne o caldarroste. Sebbene non sia praticata una celebrazione religiosa a tutti gli effetti (salvo nei paesi dove san Martino è protettore), la festa di San Martino risulta comunque particolarmente sentita dalla popolazione locale.
Nel nord Italia, specialmente nelle aree agricole, fino a non molti anni fa tutti i contratti (di lavoro ma anche di affitto, mezzadria, ecc) avevano inizio (e fine) l’11 novembre, data scelta in quanto i lavori nei campi erano già terminati senza però che fosse già arrivato l’inverno. Per questo, scaduti i contratti, chi aveva una casa in uso la doveva lasciare libera proprio l’11 novembre e non era inusuale, in quei giorni, imbattersi in carri strapieni di ogni masserizia che si spostavano da un podere all’altro, facendo “San Martino”, nome popolare, proprio per questo motivo, del trasloco. Ancora oggi in molti dialetti e modi di dire del nord “fare San Martino” mantiene il significato di traslocare.